domenica 28 dicembre 2008

sabato 27 dicembre 2008

Auguri


A tutti coloro che esplorano, che anelano superare i confini del conosciuto, conoscere l'ignoto, ed hanno l'inquietudine di andare ed essere sempre dove accadono eventi nuovi, il mio Augurio di trascorrere Buone Feste nella pace famigliare e nell'abbraccio degli amici fedeli.
A tutti coloro che non cercano altro che una vita sicura, ed amano la certezza delle cose di tutti i giorni, che passano le settimane nella tranquillità domestica, il mio Augurio che l'Anno nuovo porti un cesto di emozioni e un fascio di imprevisti.

lunedì 22 dicembre 2008

In ricordo di un Amico


L'altra notte il Corvo, che secondo gli inuit ha creato tutte le cose viventi, è venuto in sogno a trovarmi, e mi ha strappato il cuore.
Lo ha portato in volo sopra l'oceano, e lo ha deposto sulle rive ghiacciate del Sermilik.

In quel mondo magico, dove il tempo non ha origine né fine e tutto è possibile conoscere, mi è stato dato di osservare un'Ombra mentre scorrevano gli attimi finali della sua vita, e questo è stato per me un grande privilegio.
L'ho vista salire con passo fermo gli ultimi contrafforti che la conducevano alla vetta più alta, giaciglio designato per il suo sonno eterno.
Su giunta, s'è fermata un istante. Con movimenti misurati, contando gli ultimi istanti di vita, ha volto ancora uno sguardo intorno.
Mi ha visto, e in quel momento mi ha riconosciuto.
Ti aspettavo, mi ha detto. Sapevo saresti venuto.
Non servo a nulla, ho risposto.
Non è vero. Mi tieni compagnia.
Era felice della mia presenza
.

Poi ha cercato il suo posto, designato fin dal tempo in cui il mondo era solo Pensiero, e lì si è accomodata, sdraiandosi su di un fianco. Ha posato il gomito ad angolo, e sulla mano ha posato la guancia.
Con il capo rivolto verso il Sermilik, ha avuto un ultimo sussulto - forse un gesto di rimpianto per la vita fuggita? - e si è fatta sasso.
È rimasta così, Ombra pietrificata, uno dei mille fantasmi che si agitano inquieti fra le montagne e i ghiacci eterni del Sermilik.

Sono passati trenta giorni da quando Franco Varrassi è morto precipitando sul Corno Grande del Gran Sasso. Quel Momento, gli spiriti inquieti che popolano il Sermilik si sono sollevati sui loro giacigli di pietra, e hanno lanciato un grido di orrore, vedendolo cadere.

Quando è stato il giorno del suo funerale, il Gran Sasso era presente, ma se ne stava nascosto sotto un cappuccio di nuvole. Aveva paura a farsi vedere, sapeva di aver combinato un bel guaio, due giorni prima, quando non lo aveva trattenuto mentre precipitava nel vuoto, e osservava tutto cercando di non farsi scorgere.
Ma quando è stato il momento del saluto finale, non ce l'ha proprio più fatta a stare nascosto.
Allora si è scoperto il capo, e si è fatto avanti in prima fila, presentandosi in tutta la sua fierezza di vero signore delle montagne, offrendo in omaggio un maestoso tramonto rosso porpora.
Nessuno ha osato accusarlo, nessun dito si è puntato su di lui. Franco amava questa montagna.
È la montagna più bella del mondo, diceva.

Franco era stato con me in Groenlandia, nell'estate di quest'anno, e avevamo lavorato insieme nella Spedizione Saxum 2008.
Con lui a Tiniteqilaaq abbiamo passato tre giorni portando bambini in giro per il paese sulle nostre spalle, come fossimo dei cavallucci. Franco era un amico.
Insieme, abbiamo parlato spesso del nostro lavoro, della nostra famiglia, dei nostri bimbi.

In questi giorni stiamo pensando ad una nuova spedizione al Sermilik.
Nel credo degli Inuit il cielo è una cupola che avvolge la Terra, ed ha un'apertura attraverso la quale le anime salgono al Regno della Luce.
Chi ha avuto una morte violenta deve invece percorrere uno stretto e pericoloso sentiero, ma è aiutato dagli Spiriti Celesti, che fanno luce con delle torce lungo tutto il suo percorso: è la luce dell'Aurora.

Questa volta saremo in sei, e avremo con noi uno Spirito Celeste.


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mentelocale.it

domenica 21 dicembre 2008

Esplorazioni d'inverno



La neve è caduta abbondante. Le temperature sono basse. Il pericolo delle valanghe e delle slavine è alto.
Allo speleologo non resta che rimanere nel sicuro calore delle grotte di pietra. Si dia inizio ad un buon inverno di esplorazioni sotterranee.

venerdì 19 dicembre 2008

La Nascita del Mondo: una leggenda Inuit

Vi fu un tempo in cui sulla Terra non c'era nulla. Né uomini, né piante, né animali. Solo il Corvo e la moglie. Si erano creati da soli, ed erano gli unici esseri viventi che popolavano la Terra.
Un giorno, la moglie del Corvo decise che era giunto il momento di non vivere più soli, tanta era la noia che regnava in quella casa.
Così disse al marito:
vai fuori, e crea qualcosa con cui avere compagnia nelle lunghe notti senza luce.
Ma il Corvo era molto pigro, e non aveva affatto voglia di creare il resto della Terra. Così se ne andò a dormire borbottando:
ci penserò domani...se ne avrò voglia.

Il mattino dopo, al risveglio, il Corvo ebbe un fremito di stupore, perché, guardandola, si accorse che sua moglie era cambiata: non era più un corvo, ma uno strano essere che al posto delle zampe aveva due gambe, e dieci dita, e le penne erano scomparse, e il corpo da nero lucente era venuto tutto bianco.
Era strana,
però è bella, pensò il corvo. E, invidioso, cercò di divenire come lei.

Iniziò a strapparsi le penne, a strapparsi gli artigli, ma nulla. Pur spennato e senza unghie, restava comunque un animale, lontano dalla bellezza femminile che ora aveva la moglie.
Non sapeva più cosa fare. Ma che, per caso, non aveva preso un abbaglio?

Disperato, torno a guardare la moglie che giaceva addormentata. Ma no, era proprio così, cambiata. E aveva anche la pancia gonfia.
Che stesse male?
Proprio bene non stava, se si contorceva così.

Doveva fare qualcosa, farla tornare corvo, pensò.
E mentre si arrovellava per cercare di capire come, ecco comparire, a poco a poco davanti a lui, due piccoli esseri umani, due creature simili in tutto e per tutto alla madre.
Con quelle due piccole creature gemelle, sua moglie stava creando il mondo degli uomini!

E noh, pensò il Corvo, che che non voleva essere inferiore alla moglie, se tu hai creato gli uomini, io creerò il resto del mondo.
Volò fuori dalla casa, e inizio a volteggiare sulla Terra inventando animali, piante, fiori, ed ogni altra cosa vivente, creandola talmente bella e variopinta che la moglie ne rimase stupita.

Io ho creato gli uomini, gli disse allora la moglie, ma tu hai saputo creare cose ancora più belle.

E, udendo queste parole, il Corvo fu felice.

domenica 14 dicembre 2008

sabato 13 dicembre 2008

Storie della Groenlandia. Uma: un Inuit di Angmagssalik

Questa storia viene da Nunakitsek, piccolo villaggio vicino a Sermiligaak. È stata narrata intorno agli anni '30 da un Inuit a Paul Emile Victor, esploratore ed etnologo francese che ha studiato gli inuit di Angmagssalik raccogliendone gli usi, i costumi, le tradizioni, le storie.
È stata tradotta dal francese dal volume La Civilisation du Phoque, e ridotta per queste pagine.

Il vecchio uomo si chiama Uma. Da molti anni è paralizzato ad entrambe le gambe, e si muove trascinandosi sulle mani.
I ricordi della sua vita sono tristi. Due dei suoi figli sono morti in kayak. Gli altri suoi tre bambini sono morti anche loro.
Un giorno, sopraffatto dalla disperazione e dal dolore per la propria vita, che vanno ad aggiungersi all'apprensione per la scarsità di cibo per tutti gli altri famigliari, decide di suicidarsi.
Dice: «Aiutatemi a vestirmi».
Lo aiutano a mettersi solo l'anorak, e l'unico pantalone che ancora possiede.
Quando è vestito, esce di casa trascinando dietro di sé le gambe paralizzate.
Tutti lo accompagnano. Tutti lo incoraggiano: «Rivedrai presto i tuoi familiari - gli dicono - Non avrai più fame nel Paese dei Morti». (Nel Paradiso inuit gli uomini vivono in buoni rapporti con gli animali, che si lasciano uccidere per permettere loro di mangiare).

Si muove carponi, trascinandosi dietro le gambe come dei pezzi di pelle di foca.
Fa molta fatica. Si ferma. È stanco. Prende fiato.
Riparte. Si ferma spesso.
Arriva infine sul bordo della piccola falesia che è sul bordo del mare. Qui getta il coltello da caccia del suo figlio primogenito Itimma nel mare.
Grida: «Vieni, Itimma, figlio mio. Vieni a prendere il tuo coltello. Arrivo!».
Dall'alto della falesia, con un disperato colpo di reni si getta nel mare.
L'acqua è fredda. Si dibatte. I suoi vestiti lo fanno galleggiare. La morte non arriva.
Sua figlia adottiva ha pietà di lui. Gli grida: «Metti la testa nell'acqua! Così durerà di meno!». Sente. Mette la testa nell'acqua.
Dei soprassalti lo scuotono. Della schiuma e delle bolle appaiono sull'acqua.
Non si muove più.
Il suo corpo galleggia portato dalla corrente.

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venerdì 12 dicembre 2008

Gli Inuit di Angmagssalik

Il porticciolo di Tiniteqilaaq


La baia di Angmagssalik, località della Groenlandia orientale poco a sud del Circolo Polare Artico, è uno degli angoli del Pianeta più difficilmente raggiungibili per la maggior parte dell'anno, isolata come si trova dal pack-ice che si spezza solo a tarda primavera.

Inoltre, le lingue glaciali alle testate dei due grandi fiordi di Sermilik e di Sermiligaaq (il bellissimo fiordo ghiacciato) a inizio primavera iniziano a scaricare in mare centinaia di iceberg che vanno a saldarsi con i lastroni del pack residuo, formando una barriera di ghiaccio che rende difficile la navigazione anche in piena estate.
Si capisce, così, perché questa parte della Groenlandia è rimasta isolata dal resto del mondo fino all'avvento delle prime rotte aeree commerciali.

Ad Angmagssalik, in meno di una decina di villaggi sparsi lungo le coste dei fiordi vivono in condizioni ambientali estreme circa 2.900 Inuit, la cui sopravvivenza dipende quasi esclusivamente dalla caccia e dalla pesca (salmoni, foche, orsi), non esistendo per loro altra forma di sostentamento.

Di origine siberiana, gli Inuit (che nella lingua inuktikut significa ‘il popolo') arrivarono in Groenlandia con uno dei flussi della grande migrazione che a partire dal 2400 a.C. attraversò lo Stretto di Bering e colonizzò i territori più settentrionali del continente americano, stanziandosi poi nelle regioni dell'Artico comprese fra l'Alaska, il Canada, la Russia, la Finlandia, la Svezia, la Norvegia, l'Islanda e la Groenlandia.
Gli Inuit attuali discendono dalla popolazione di Thule, che nel XI secolo dal Canada si espanse rapidamente nel nord della Groenlandia, colonizzando tutta la costa occidentale.Un'altra parte, invece, alla ricerca di mari sempre più pescosi iniziò a scendere lungo la costa orientale arrivando nella baia di Angmagssalik 'là dove ci sono i pesci'.
Qui rimase intrappolata dai ghiacci, e divenne stanziale, senza più contatti con il resto del mondo fino a quel fatidico 1884, quando Gustav Holm, alla ricerca di resti di insediamenti vikinghi dopo aver doppiato capo Farwell, estrema propaggine meridionale della Groenlandia, si era spinto a nord fino a raggiungere per la prima volta la baia di Angmagssalik.

Fino al momento di questo incontro gli Inuit di Angmagssalik credevano di essere l'unica forma di vita umana presente sulla terra.
Si racconta che un coraggioso cacciatore, spinto dalla curiosità di conoscere cosa esistesse oltre i propri orizzonti, si fosse messo in cammino sulla calotta polare, diretto a occidente. E che fosse tornato indietro dopo parecchi giorni di cammino in quel deserto bianco, dicendo: Non c'è nulla. Solo ghiaccio. Siamo gli unici uomini sulla terra.
Ghiaccio e rocce nel fiordo di Sermilik

Gli abitanti di Isertoq, piccolo villaggio di cacciatori di 130 abitanti al margine della calotta polare, hanno avuto contatti con persone estranee al loro ristretto gruppo etnico solamente dopo la seconda guerra mondiale, quando poco lontano, a Ikatek, fu costruita una base aerea militare USA.
Fino agli anni '30, quando i danesi importarono in Groenlandia il legname per le prime costruzioni - le tipiche casette in legno variopinto tanto note agli occidentali - e ancora fino a poche decine di anni fa, gli abitanti di Angmagssalik, che allora erano poco più di 400 individui, vivevano nelle 'case di terra', costruzioni edificate in località riparate dai forti venti, parzialmente interrate, con muri in pietra e coperte da pelli e tavole di pietra, cui si accedeva carponi tramite uno stretto e basso cunicolo.
Si incontrano ancora oggi degli inuit, in giovane età, che raccontano di essere vissuti, nei primi anni dell'infanzia, nelle 'case di terra'.
Oggi gli Inuit di Angmagssalik vivono un bivio importante della loro esistenza.
Da un lato si accorgono che non possono più continuare a vivere di sola caccia e pesca, perché troppe sono le esigenze e i bisogni insorti con l'arrivo della civiltà occidentale, dall'altro sentono, prepotente, il bisogno atavico di continuare a muoversi secondo i loro ritmi tradizionali.
Così stanno cercando di compiere l'unico passo che li possa porre in 'comunicazione' con l'occidente senza mettere in discussione le loro tradizioni millenarie.
Attenti alle motivazioni dei pochi che si sono recati in questi luoghi per i viaggi nei fiordi, i tour in kayak, i trekking nelle lingue glaciali, le randonnèe di scialpinismo, si sono accorti di possedere un bene estremamente richiesto da noi occidentali, che oramai abbiamo devastato il nostro: l'ambiente.
Unico, meraviglioso, incontaminato.
Lo sforzo che oggi stanno compiendo è quello di attivare un turismo sostenibile, senza grandi alberghi, non devastante per l'ambiente, riassumibile nel termine 'di esplorazione'.
Rivolgendo la propria economia verso un turismo così élitario, con una puntigliosa cura volta alla difesa dell'ambiente e delle proprie tradizioni, non potranno avere grandi afflussi, certo, ma non hanno bisogno neppure di grandi numeri.


Pubblicato su:
Agenzia Radicale